Lucio Dal Buono

Bec Raty

Bec Raty (2.382 mt)

 

Nella valle di Champorcher, prima di arrivare in località Dondena, si vede sulla destra della carrozzabile, una poderosa  montagna rocciosa, caratterizzata da due cimette.   E’ il Bec Raty.   Come davanti è  imponente, così dietro- nel versante nord – è insignificante: degrada per prati nella valle fino al laghetto del Raty.   Sul versante Sud sono state aperte due belle vie di roccia: lo sperone centrale della parete Sud e la parete  Sud-ovest.   La via della parete Sud-Ovest è recente: via “ ex art.18” .   E’ stata aperta con criteri da falesia. E’ tutta a spit e raggiunge il 6a+ .

Per chi ama il profumo della salita avventurosa, in cui trovare sia la via che i punti di assicurazione, è però più consigliabile lo Sperone Centrale. La via è tutta da trovare. Vi sono le soste, formate da uno spit e da un chiodo.  Poi vi è  mediamente un chiodo su ogni tiro.   L’assicurazione è condizionata al buon uso di frends medio grandi ed a clessidre da trovare.   Il dislivello è di 280 mt.  Le difficoltà sono di III e IV, salvo due tiri con tratti  di V+: il terzultimo ed il penultimo.   L’avvicinamento comporta altri 200 mt di salita: circa mezzora dalla strada.

Domenica 5 giugno, Anna la maldestra, Aldo, Angelo ed io percorriamo la strada per Dondena cercando il punto in cui abbandonarla per puntare verso lo sperone Sud.  La domenica prima avevamo fatto l’art. 18. Come detto, bella via, ma artificiosa.   Vogliamo ora fare una vera via d’ambiente.  La mattina è stupenda e la giornata promette  bene.

Arrivati davanti al Bec Raty abbiamo la prima sorpresa: gli speroni sono due. Tutti e due con aspetto arcigno, ma interessante.   Seguendo la descrizione, subito dopo un salto di roccia che domina la strada, puntiamo dritti verso lo sperone di sinistra.  Non c’è traccia di sentiero, si cammina su pietre e detriti malsicuri.

Io scarto lo sperone di sinistra: guardando la bussola si vede che non è uno sperone Sud.  E’ un Sud-Ovest. E poi si arresta molto più in basso della vetta in una specie di anticima.  Aldo però sostiene di avere visto un ometto davanti a questo sperone di sinistra.  Si attarda là con Angelo cercando invano la partenza della via. Io richiamo l’Anna, che la sorte matrigna mi ha designato come secondo, e , senza aspettare,  attacco su facili rocce lo sperone di destra: sono ormai le 11 e non voglio rischiare un pernottamento in parete.

Dopo un trenta metri di un facile tiro senza segni umani, arrivo alla base di una parete con una caratteristica fessurina a zig-zag.  C’è una sosta! Almeno siamo sicuri di essere sullo sperone giusto.    Faccio altri tre tiri di IV, su ottima roccia ben appigliata. Bisogna tenersi sempre  sul filo dello spigolo.  L’unico problema è quello comune a tutte le vie di ambiente: il continuo pericolo di far cadere dei sassi.   Ogni tanto me ne scappa uno: vedo sotto l’Anna che si ritira spaventata.   L’Aldo e l’Angelo sono sotto di almeno due tiri: solo a tratti mi appare una faccia stravolta.  Alla fine del quarto tiro si arriva su un vasto pianoro erboso, interrotto da una placca.  Lì lo sperone si inarca. Il pendio che era mediamente di 65-70 gradi, diventa di 70-80.

La placca ha un trucco: un bel chiodo rosso ed invitante un tre metri sopra. Guai ad andare di lì: è stato messo da qualche burlone.  Si tralascia il chiodo e si va su una piccola cengia a sinistra. Poi su lame difficilotte. La sosta è a sinistra, all’inizio di una comoda salita erbosa.  Alla fine della salita c’è un camino difficile. Sto salendo il più rapidamente possibile: è ormai pomeriggio e qualsiasi inconveniente ci fa rischiare una notte in parete.    Ancora tre tiri e poi c’è ancora un grande declivio erboso. Su una cengia  c’è finalmente l’attacco del  V°: una placca bombata e strapiombante. Ci sono due chiodi, ma sono ormai stanco. Tento l’attacco diretto e ripiombo giù. Vado a destra, pianto un chiodo – sulle vie di ambiente porto sempre martello  e chiodi – ma, sopra il chiodo,  è al di là delle mie possibilità. E’ giusto: in falesia riesco a fare un 5c. In ambiente si fa di regola un grado in meno: un bel IV rappresenta il mio limite: il V va  fatto con i chiodi.  Torno sulla via e metto un bel chiodino da granito.  Con estrema fatica mi isso, vado a destra, salgo ancora e raggiungo la sosta.

L’Aldo e l’Angelo nel frattempo ci hanno raggiunti.  Si fronteggiano due scuole di pensiero. La mia –Alpino vecchio stile -  dice che si sale con qualsiasi mezzo- basta che si salga. Considero stupido non approfittare di un bel rinvio per appendersi allo stesso: si sale e si risparmia fatica.    La settimana prima avevo addirittura persuaso Angelo a tentare un passaggio con la piramide umana: ero salito su di lui in un tentativo di forzare il passaggio.    Quella dell’Aldo è la gentile e tecnica scuola di falesia: non bisogna mai – vivaddio – azzerare. Il passaggio va passato con tecnica pura,anzi risolto come si fa con  un quiz della Settimana Enigmistica.   Chi azzera, perde la faccia e deve ricominciare da capo.

Io ho  azzerato convinto, anzi ho chiodato.  Sotto anche  Aldo ed Angelo abbandonano ogni vergogna e – chissa perché – si appendono al mio chiodo.

Dovrebbe essere ormai l’ultimo tiro. Purtroppo non è vero: c’è uno passaggino sopra di noi che non sembra difficile ma è bombato e di roccia nera e viscida.

Per fortuna sopra di noi c’è un  altro chiodo.    Attacco molto a destra del chiodo, dove sembra più facile.  Con fatica riesco  quindi a rinviare sul chiodo.  Sono ormai spostato tutto a destra e sto cercando di forzare il passaggio. La roccia è bombata e mi butta fuori, ma sopra di me con la punta delle dita, sento una bellissima lama. Per tre volte cerco di issarmi, ma sono ormai stanco.   Alla terza le mani lentamente cedono.    Con il solito grido all’Anna –tienimi! – mi abbandono.

Il maledetto imbrago corto mi mette subito in orizzontale, eliminando ogni mia possibilità di reazione.  Faccio un bel pendolo intorno al chiodo, che per fortuna tiene, e mi abbatto con la schiena sulla roccia di dietro fratturandomi sei costole.     Non me ne rendo subito conto: sento una gran botta e valuto a due il numero delle costole andate.   Quello che mi preoccupa è un sospetto cric-croc che sento non appena – appeso alla corda – faccio qualche movimento.

L’Anna mi cala con cautela sulla sosta.   L’Aldo e l’Angelo sono intanto arrivati.  Sono ormai le cinque e, con me infortunato, si pone il problema: chi sale? L’Angelo ha le dimensioni e l’aspetto di una foca di mare gravida: per puri problemi gravitazionali,  non sarà sicuramente lui che forzerà il passaggio.    L’Anna sembra Gionata il Gabbiano: volta qua e là il naso con aria spersa.   Rimane l’Aldo,  su cui si appuntano le speranze di tutti: dopo di lui c’è solo l’elicottero.

Viene munito del mio martello con l’ultimo chiodo  da granito: fervidi lo seguono canti e preci.   Sale, pianta un chiodo dove io ero caduto,  e forza il passaggio. Gioia generale.     Si allontana lentamente. Sentiamo sopra di noi imprecazioni ed invocazioni sempre più attutite dalla distanza: il tiro non deve essere tanto facile.   Alla fine la corda si arresta e si fissa.   Salgo per primo io e poi tutti gli altri. Anche questo tiro è un bel quinto.

Sopra di noi c’è l’ultimo grande e bel camino di IV.   Sale ovviamente primo l’Aldo, poi l’Anna e poi io. Ultimo l’Angelo.   Ormai mi sono raffreddato e le fratture alle costole si sentono tutte. Anche se l’Aldo ha fissato la sua corda  e l’Anna cerca di issarmi, tirando come una disperata, salgo ululando come un  lupo.

Mi hanno detto che la cima è bellissima. Che il panorama intorno è mozzafiato.   Non ne so niente: con sei costole rotte, cerco solo di dirigermi verso la macchina, dove arriviamo circa alle sette.

Ho acquisito nuove capacità. Per chi non lo sa infatti, con le costole rotte si sta bene solo in piedi. E siccome le costole si mettono a posto in trenta giorni circa, ho dormito per trenta giorni in piedi.      Mia moglie dice che sono ormai quasi un cavallo,si aspetta solo che nitrisca……

 

Bec Raty, Sperone Sud

 

I°         Per facili salti di roccia si arriva ad un placca solcata da una tipica fessurina. III°

II°        Sulla fessura, poi su  altra fessura di placca fino alla base di una parete a sx. –IV

III°       Per spigolo  su salti di roccia ben appigliati   IV+

IV°       Sempre per spigolo, su parete ben appigliata fino a vasto pianoro erboso alla base  di una placca   IV°

V°        Inizio tratto più ripido.  A sx di placca, su fessure, fino a sosta a sx spigolo. IV+

VI°       Per  facili declivi erbosi verso dx, poi dritto fino alla base di un grande camino.  III°

VII°      Per il camino, poi verso dx lungo pareti ben appigliate  IV+

VIII°     Per facili rocce sullo sperone, fino ad un pianoro prativo, rimontare su cengia a sx, poi a dx, alla base di un salto strapiombante   II°

IX°       Diretto lungo la parete su placca strapiombante(  3 chiodi), poi a dx e dritto fino ad altro salto  V+

X°        Su per parete bombata, poi a sx ed infine dritto fino  a  base di cima su pianoro erboso  V+   (4 chiodi)

XI°       Per grande camino fino in vetta   IV°  (1 chiodo)

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